Sono allibito a sentire certe affermazioni di alcuni politici, riguardo alla "missione di pace" in Afghanistan, dopo la morte dei due alpini. Ma davvero queste missioni sono necessarie? ma a che pro? per combattere il terrorismo? o per soddisfare il padrone americano? Cosa caspita c’entra l’Italia con l’Afghanistan? ma perchè non ritirare le truppe una volta per tutte? per quanto tempo ancora dovremo piangere la morte dei nostri soldati? E se invece di combattere il terrorismo, si accendessero dei moti di ritorsione, ovvero fossimo presi di mira (come del resto avviene) per il semplice fatto di avere delle truppe là? E per favore finiamola di pensare e di credere che si tratti di missioni di pace, chiamiamole con il nome adatto, sono missioni militari e basta… Per non parlare poi dei costi di queste missioni…
Ma si sa, il tempo ripulisce le coscienze, tra qualche mese non si ricorderà quasi piu nessuno dei caduti, e tutto tornerà come prima, fino ai prossimi che cadranno per la patria, o meglio per gli interessi della patria.
Un reportage fotografico che rappresenta uno spaccato della realtà rom in quel di Napoli.
Molto bello e intenso, da vedere…
A qualcuno potrebbe sembrare strano che un sociologo scriva un commento al lavoro di un fotografo. Al contrario, invece, il rapporto tra arte fotografica e scienze sociali diviene nel tempo sempre più stretto: se da sempre la fotografia è un supporto indispensabile per la ricerca antropologica, da trent’anni a questa parte si va consolidando - negli Stati Uniti prima e in Europa poi - un filone di studio e di indagine che prende il nome di “sociologia visuale”. In questo approccio la fotografia non è più considerata per la sua valenza estetica, ma diviene vero e proprio strumento di indagine empirica, sguardo che scava nella realtà sociale contribuendo spesso a metterne a nudo le contraddizioni, con una evidenza sicuramente più immediata e coinvolgente di quanto possa fare un testo scritto. Ciò è particolarmente vero quando divengono oggetto di analisi la marginalità e l’esclusione sociale, come appunto è il caso delle foto di Maurizio Cimino di un campo Rom nei dintorni di Napoli. Non uso a caso il termine “analisi” in quanto mi sembra che l’autore, pur partendo da un’esperienza artistica, centri in pieno alcuni degli obiettivi di quella che siamo abituati a chiamare la ricerca qualitativa in questo settore: la narrazione della quotidianità di un gruppo sociale, l’individuazione di caratteristiche che ne definiscono l’identità di gruppo, ma soprattutto la capacità di evidenziare la sconvolgente normalità con cui è vissuto il disagio. Certo, lo sguardo di un fotografo è soggettivo. Oggi però stiamo imparando a capire come anche la scienza interpreti il mondo a partire da un punto di vista, e come l’unica possibile garanzia di oggettività consista nell’esplicitazione di questo punto di vista, sia in senso metodologico che concettuale.
Mi rattrista sapere che ha vinto il festival di S. Remo quel fighetto, dal sorriso ebete che cammina come se avesse una carota infilata nel didietro, ovvero Valerio Scanu, con un brano il cui testo è una vera e propria offesa alla lingua italiana.
Mi rattrista il fatto che quello che era in festival della canzone italiana, sia oramai ridotto ad una competizione fra le reti (rai e merdaset) con i loro “prodotti” sfornati dai cosidetti “talent show” come x-factor o amici del trans Maria de filippi.
Mi rattrista vedere invadere la Rai dai tirapiedi del nano, come il piduista Maurizio Costanzo, e pensare che pago pure il canone!
Ma tornando a Scanu, non so se avete ascoltato il testo della canzone, ma ce l’avete presente come può essere possibile “far l’amore in tutti i laghi?”
Come dicevo, un’offesa alla lingua italiana, un testo buttato giù in 5 minuti, lo si capisce anche da come, per fare entrare la strofa nella metrica del brano, sia costretto ad affrettare le parole, quasi senza fiato.
Che poi pure la seconda classificata “Italia amore mio” non è che sia il massimo eh, anzi la definirei un’accozzaglia mal riuscita di luoghi comuni, per far leva sullo spirito patriottico, passando magari per il calcio e i mondiali, per sfumare poi in una famosissima aria, ossia “somewhere over the rainbow“, ma una volta non si chiamava plagio questa cosa?
Possibile che sia passata inosservata? mah
Tristezza infine, perchè sono state eliminate canzoni di artiste di ben altro spessore, come ad esempio Nina Zilli, oppure Malika Ayane, che a confronto, del vincitore, sembra davvero un altro pianeta, ed infatti è stato tutto truccato con il televoto, insomma una vera e propria schifezza.
Valerio Scanu, ma vaffanculo va! (rigorosamente in tutti i modi, in tutti i luoghi e in tutti i laghi eh…)
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Un post che mi ha particolarmente colpito su guerrilla radio, del quale riporto alcuni stralci.
Esattamente un anno fa moriva Giuseppe Gatì, un giovane siciliano, orgoglioso d’essere siciliano, onesto e puro. Un giovane che credeva in una Sicilia libera dalla mafia e dalla politica collusa. Credeva e combatteva per una Sicilia laboriosa rispettosa dell’uomo e dell’ambiente.
Ebbe il suo attimo di fama quando, nel corso della presentazione di un libro del pregiudicato Vittorio Sgarbi, incomprensibilmente eletto sindaco di Salemi, cittadina siciliana, dichiarò ad alta voce la pura e semplice verità: che Sgarbi, appunto, “è” un pregiudicato, condannato in via definitiva per truffa allo Stato e in primo e secondo grado per aver diffamato il dottor Caselli e l’intero pool antimafia.
Giuseppe, che si era limitato a parlare, a gridare “Viva Caselli! Viva il pool antimafia!” e a mostrare dei volantini che riportavano le sentenze relative a Sgarbi.
Circa un mese dopo, il 31 gennaio 2009, Giuseppe Gatì morì sul lavoro. Venne trovato morto folgorato per aver presumibilmente “camminato su un cavo elettrico scoperto, senza accorgersene”.
Credo che mai un avverbio sia stato più consono del “presumibilmente”.
Ovviamente venne aperta un’inchiesta… dopodiché di Giuseppe si perdono le tracce mediatiche.
Ora viene da chiedersi come mai il suddetto Sgarbi continui ad apparire, a sbraitare e offendere a destra e a manca in tutte le tv italiane, e addirittura su quelle del padrone, viene posto su un trespolo come un pappagallo?
Schifo e vergogna…
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Dal blog di Piero Ricca, la lettera di un ragazzo Jacopo, di 23 anni.
Ovviamente condivido e riporto.
Io odio coloro che abusano della credulità popolare e delle pubbliche istituzioni.Odio i mafiosi e i frequentatori abituali di mafiosi. Odio coloro che chiamano “cancro da estirpare” i magistrati che indagano sui colletti bianchi. Odio i servi dell’informazione e in genere tutti i manipolatori delle coscienze. Odio chi, detenendo ogni potere, fa la vittima per mantenere il consenso. Odio chi rimbambisce le menti labili con una propaganda falsa. Odio le leggi su misura, chi le impone, chi le scrive, chi le approva. Odio chi non vede la quotidiana violenza sui deboli e blocca la nazione per un graffio sul cerone. Odio i finti oppositori, i pavidi e i vigliacchi. Odio chi lucra sulla stupidità delle masse e, lucrando sempre più, ne genera sempre nuova. Odio chi mette sullo stesso piano dissenso e violenza. Odio chi criminalizza le opinioni e perfino le notizie. Odio chi parla di mandanti morali e indica i terroristi mediatici. Odio chi demonizza e fa la vittima della demonizzazione. Odio chi ruba e grida al giustizialismo. Odio chi ha distrutto la politica e denuncia l’antipolitica. Odio chi ci fa vergognare di essere italiani e ci chiama antitaliani. Odio chi definisce criminali un comico e un giornalista. Odio chi dà sempre la colpa agli altri e non si assume mai la responsabilità di niente. Odio i prepotenti, gli ipocriti e i venduti che ti danno lezione di morale. Odio chi li lascia fare. Odio chi denuncia il “clima di odio” senza rendersi conto di quanto odio ha seminato e fingendo di non sapere quanto sia motivata l’indignazione. Odio chi, simulando amore, istiga all’odio. Odio chi si propone come titolare unico dell’amore e della libertà. Odio chi trasforma l’amore e l’odio in categorie della politica. Li odio e continuerò serenamente a odiarli finché sarò padrone del mio cuore e della mia coscienza.
Egregio Direttore, per festività ‘serene’ senza ossessioni e allucinazioni.
Firmato Gianfranco Fini
Un flacone di Valium avvolto in un biglietto di auguri di Buon Natale. E questo il regalo che il presidente della Camera Gianfranco Fini ha inviato ieri al direttore del Giornale Vittorio Feltri.
Ma solo perchè non lo ha trovato in supposte…
Un libro, una raccolta di poesie di Patti Smith, e che entra di diritto nella mia wishlist di Anobii.
Auguries of innocence,Presagi di innocenza,è la straordinaria testimonianza dell’ultima scrittura poetica di Patti Smith.Dai tempi della bellissima raccolta Babel (1978) questa poesia si è in parte allontanata dal tono graffiante e diretto,spezzato e sconnesso,’punk’ nella forma e nella sostanza.Almeno all’apparenza si tratta qui di una poesia più ‘composta’,all’interno della quale le immagini ricorrono a una simbologia martellante più che a un groviglio di sensazioni e frammenti narrativi.Presagi di innocenza è per la Smith anche un irrinunciabile collegamento ad una certa tradizione americana: il suo tribute si compie passando per Blake e Lovecraft (espressamente dichiarati) o per le suggestioni provenienti da Jim Carroll e dalla Plath.
Artista di grande esperienza e sensibilità visionaria, abituata a sperimentareogni possibile commistione di suono e parola per raggiungere la massimaespressività in ogni genere, Patti Smith è “indefinibile per definizione” e hacontinuato negli anni a mescolare l’arte della parola con quella del canto, inmodo quasi magico, incantando nei decenni intere generazioni. Questa raccoltadecreta il suo ritorno alla poesia.
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